I risultati non nascono dai grandi sacrifici, ma dalla passione
Ho finito di leggere il libro di Raffaele Morelli, Crescerli senza educarli. Ha un titolo provocatorio, e il sottotitolo lo è ancora di più: “Le antiregole per avere figli felici”. L’ho letto da mamma, ma non ho potuto fare a meno di guardarlo anche come insegnante ed educatrice. Mi ha dato molti spunti di riflessione, e oggi vorrei partire da questo pensiero che mi sembra fondante: i risultati non nascono dai grandi sacrifici, ma dalla passione.
La nostra cultura ha bisogno di passione
Tutti sappiamo quanto è importante avere voglia di fare le cose, la motivazione, la gioia nel fare e nell’imparare. Invece vediamo lavoratori infelici e lamentosi, bambini agitati e genitori ansiosi. Questo grigiore spento, spesso, deriva da un’educazione che ha fatto molti danni.
Invece di continuare a fare con i nostri figli l’elogio del sacrificio – “Prima il dovere, poi il piacere” – dovremmo insegnare la passione. Scrive Morelli: “Dietro il senso del dovere c’è una morale che giudica tutto quello che dà piacere come un di più, se non una perdita di tempo”. E questo si traduce nella ricerca dello studente performante, del campione in erba, del piccolo genio matematico. Ma li abbiamo ascoltati, i nostri figli? Li abbiamo guardati? Li stiamo aiutando a trovare i loro talenti, il loro daimon, come dicevano i greci?

Il sacrificio, quando è pervasivo, diventa un falso dio cui dare tutto
A volte, spinti dallo spirito di sacrificio, perdiamo il senso della nostra vita, ci dimentichiamo persino per cosa ci stiamo sacrificando. E per cosa stiamo chiedendo sacrificio agli altri. “Sono proprio le persone realizzate e felici quelle che ottengono risultati migliori, non quelle che si sacrificano. Riescono quelli che hanno seguito le loro passioni, ne hanno fatto una professione e le dedicano la vita”, prosegue Morelli.
Ne sono convinta, e lo sperimento continuamente su di me: quando nel lavoro mi allontano dal mio daimon, faccio molta fatica e ottengo risultati non eccellenti. Quando invece lo ascolto, il lavoro non pesa, dà più soddisfazioni del previsto e porta, sempre, nuovo lavoro.
Cerco i talenti negli altri, che siano i miei studenti universitari o i lavoratori a cui faccio formazione: faccio loro domande, li spingo a interrogarsi sull’adeguatezza della strada che hanno scelto. Per loro, prima che per tutto il resto. E ricordo che una strada c’è sempre, anche quando sembra di aver sbagliato tutto. Se siamo capaci di ascoltarci i risultati arrivano, anche a costo di fare cambiamenti drastici e affrontare dei rischi. Non importa se si inciampa lungo la strada, perché è possibile imparare dagli errori (come spiego in questo articolo)
Bisogna saper guardare e ascoltare i talenti dei figli e dei colleghi
Per diventare genitori competenti basta saper vedere i propri figli e accompagnarli dove già sanno di dover andare. Per essere realizzati sul lavoro basta ascoltare i propri talenti (ne abbiamo tutti almeno uno!) e seguirli. Per mandare avanti un’impresa – senza la sensazione di dover continuamente spingere e trascinare i propri collaboratori – basta saper guardare e ascoltare i talenti delle persone che lavorano con noi. Il gioco non sempre è facile, sicuramente non è immediato. Ma quando riesce dà una sensazione di pienezza nei risultati, una completa soddisfazione che ripaga dello sforzo.


